Di seguito riportiamo il testo integrale dell'intervento del nostro presidente di sezione, Marco Rubino, che si è svolto durante la celebrazione ufficiale del 25 aprile presso la sede della Circoscrizione 5 della Città di Torino:
"Buongiorno a tutte e tutti voi presenti quest’oggi.
Celebrare la Festa della Liberazione in questo momento
storico ha un significato particolare, per quella che il Papa ha già definito
una nuova guerra mondiale “a pezzetti”.
Gli equilibri globali sono infatti sempre più fragili ed
assistiamo pressochè impotenti nel veder scivolare il mondo sempre più verso il
baratro. Anno dopo anno aumentano la frequenza e l’intensità delle crisi
politiche nel cosiddetto “scacchiere mondiale”.
La politica estera degli stati assomiglia infatti sempre più
ad una partita di Risiko per contendersi l’egemonia globale, purtroppo in
questo caso non si tratta di un gioco e di mezzo ci sono le vite di milioni di
persone.
Droni, attacchi missilistici, scudi antiaerei, rischio
nucleare sono tra i tanti termini entrati nell’uso quotidiano nei notiziari e sui
giornali. Siamo letteralmente sommersi da espressioni di derivazione bellica.
Abbiamo imparato a conoscere persino i sistemi armamentari: i
droni Shahed di fabbricazione iraniana, lo scudo antimissile Iron Dome
israeliano, i missili antiaerei Patriot, i missili ATACMS, i carri armati
Leopard e via dicendo. E potrei andare avanti ancora.
I conflitti bellici sono ormai sdoganati, così come gli
attacchi reciproci tra stati, con missili e droni, in un ciclo senza fine di
attacchi e risposte. L’unico limite è l’indefinita “linea rossa”, spostata però
ogni giorno sempre più in là; l’ultimo caso è quello degli attacchi reciproci
diretti tra Israele ed Iran.
Percepiamo chiaramente il clima di guerra alle porte, che
potrebbe arrivare da un momento all’altro anche da noi, ma il quadro generale,
il contesto, ci appare indecifrabile ed imprevedibile, dominato dall’incertezza
e quindi dalla paura per il domani.
Questo clima di incertezza però è il miglior alleato degli
autocrati e di coloro che vogliono rimanere al potere, perché
con la paura si governa e si reprime più facilmente chi si oppone, soprattutto
se bisogna difendersi da una minaccia esterna.
Così, nazionalismo, imperialismo, senso di superiorità e disprezzo
verso gli altri popoli si diffondono nei vari paesi, principi che combinati
agli interessi economici in palio sono le principali cause dei conflitti in
corso, oggi come in passato.
Crisi irrisolte tornano prepotentemente alla ribalta, come il
caso del conflitto israelo-palestinese.
Dopo quasi ottant’anni di sangue si è giunti al massacro di
Hamas del 7 ottobre, che ha causato la morte di circa un migliaio di civili
israeliani, e successivamente a quello senza fine di Gaza, arrivato a quota
34000 morti ed 80000 feriti, con la popolazione civile allo stremo dopo 6 mesi
di assedio e bombardamenti, senza cibo, possibilità di cure e vie di fuga.
La reazione della comunità internazionale però è di
sostanziale indifferenza perchè, in uno scenario di guerra tra blocchi, non
importa tanto chi ha ragione ma con chi stai.
Ed è così che a differenza di
quanto avvenuto nella guerra in Ucraina dove l’invasione russa è stata seguita
da sanzioni ed altre azioni nei
confronti del regime russo di Putin, in questo caso però non è stato
preso nessun provvedimento significativo da parte della comunità internazionale
contro il governo di Netanyahu che, invece, ha tutto l’interesse a mantenere
vivo e ad alimentare questo conflitto per poter sopravvivere politicamente,
anche a costo di mettere a repentaglio
la vita degli stessi ostaggi israeliani ancora in mano di Hamas, di cui
auspichiamo il rilascio al più presto.
Al contrario vengono stanziate nuove
decine di miliardi di aiuti militari, sostenendo di fatto le operazioni
militari in atto e l’assalto finale a Rafah, campo profughi con oltre un
milione di persone.
Quale processo di pace ci potrà mai essere con queste
premesse? Anche la soluzione dei due stati per due popoli, in un clima di
rispetto reciproco, se non accompagnata da un pieno riconoscimento dei diritti
civili e politici dei palestinesi, ed al ritiro dei coloni israeliani dalle
terre occupate, sarebbe inefficace. Pura utopia allo stato attuale.
Purtroppo sappiamo bene come l’odio generi soltanto altro
odio. La storia insegna, peccato che non abbia scolari.
Oltre a questo, colpisce quanto tutto questo porti platealmente all’uso
di differenti metri di giudizio in base alla convenienza del momento o da chi
compie determinate azioni.
Così, inorridiamo di fronte ai massacri di Bucha in Ucraina
ma a malapena ci impensierisce il ritrovamento di una fossa comune con oltre
300 corpi, secondo l’ONU, nei pressi di un ospedale a Khan Yunis, a Gaza.
Supportiamo giustamente la lotta eroica delle donne iraniane
ma ci siamo già dimenticati delle donne afghane, una delle argomentazioni più
importanti usate per giustificare il ventennale intervento militare in
Afghanistan, finito come sappiamo con il rocambolesco ritiro da Kabul a seguito
della marcia vittoriosa dei talebani verso la capitale.
Così come ci siamo dimenticati delle donne e del popolo
curdo, osannati durante la lotta contro il califfato dell’Isis ed ora, non più
necessari, sacrificati per ingraziarsi il sultano turco Erdogan.
Le alleanze vengono prima di tutto, così persino il regnante
saudita Bin Salman, considerato il mandante dell’uccisione del giornalista oppositore
Jamal Kashoggi, è diventato un valido e affidabile alleato, in chiave
anti-iraniana.
All’opposto ci indigniamo per l’uccisione dell’oppositore
Navalny e della mancanza di libertà di espressione in Russia ma, allo stesso
tempo, come occidente, siamo anche responsabili di aver perseguitato persone
come Julian Assange, fondatore di Wikileaks, Chelsea Manning ed Edward Snowden
che hanno fornito materiale segreto che ha mostrato la vera realtà delle guerre
contro il terrore in Iraq ed Afghanistan, e non solo, svelando bugie, rivelando
stragi di civili inermi, anche di giornalisti. Un coraggio che ai giorni d’oggi
manca, pagato a caro prezzo, per garantire il diritto di informazione delle
persone.
Diritto di informazione e libertà di espressione tornati
anche nell’agenda politica del nostro paese.
Dal caso dell’artista Ghali, criticato addirittura da un
comunicato dell’AD Rai, fatto leggere in diretta durante una trasmissione, per
aver detto semplicemente “Stop al genocidio” sul palco di Sanremo, all’ultimo
in ordine di tempo, quello dello scrittore Antonio Scurati.
Il caso del maldestro tentativo di censura in RAI,
inizialmente presentato come una divergenza di natura economica legata al
compenso, rivelatasi poi una scelta per “motivi editoriali”, ci offre però
uno spunto sull’eterna disputa legata alla giornata odierna: perché è
importante definirsi antifascisti.
Il fascismo non fu colpevole solo per aver firmato le leggi
razziali e per l’alleanza con la Germania nazista. Il fascismo sin dall’inizio
è stato sinonimo di violenza sistematica e repressione del dissenso per affermare
il suo potere.
Il fascismo, come il nazismo, proponeva inoltre una visione
nazionalista, escludente, fondata sull’esaltazione della guerra e sulla
gerarchia tra i popoli ed all’interno degli stessi popoli, categorizzando gli
individui e perseguitando tutti gli elementi ritenuti impuri all’interno della
società.
A tutto questo si oppose quello che noi chiamiamo
antifascismo, che vide nella Resistenza la sua massima espressione. Nella
Resistenza militarono donne e uomini con pensieri politici, credi religiosi,
appartenenze sociali differenti. Ed ebbe luogo anche con modalità differenti,
nelle città così come nelle campagne e nelle montagne.
Tutti però uniti non solo per porre fine all’occupazione
tedesca ed a chiudere i conti definitivamente con il fascismo, bensì anche per
costruire un altro tipo di società, i cui principi oggi ritroviamo nella nostra
Costituzione.
Principi come quello dell’eguaglianza tra tutti i cittadini e
cittadine, senza distinzioni: siamo tutti diversi per questo siamo tutti uguali.
E principi come quello della pace: "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali", sancito nell’articolo 11.
Ecco, ripensando a questi principi, più che mai attuali,
chiunque creda nella democrazia, nella giustizia e nella libertà non può che
essere e definirsi antifascista, senza esitazione o distinguo.
Ma oltre alle enunciazioni è necessario anche il nostro
impegno, nel nostro piccolo, tutti i giorni, perché come diceva lo scrittore
Luis Sepùlveda: “Sogniamo che un altro mondo è possibile e realizzeremo
quest’altro mondo possibile (…) Solo sognando e restando fedeli ai sogni
riusciremo a essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo”.
Viva il 25 aprile
Ora e sempre Resistenza
E restiamo umani"
Marco Rubino
Pres. A.N.P.I. sez. V Riunite Torino "Baroni-Franchetti-Ballario-Rolando"
Vicepres. A.N.P.I. Provinciale di Torino