lunedì 25 aprile 2022

25 aprile 2022 - Intervento del Presidente della nostra sezione

Di seguito pubblichiamo il testo dell'intervento di Marco Rubino, presidente della nostra sezione, effettuato il 25 aprile 2022, presso la sede della Circoscrizione 5 della Città di Torino:

“Buongiorno a tutte e tutti voi presenti quest'oggi,

'L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali'.

L’articolo 11 è una delle parti della nostra Costituzione che raccoglie maggiormente il desiderio di cambiamento e pace della generazione che visse il trauma del secondo conflitto mondiale e l’esperienza del regime fascista. Regime che durante il ventennio al contrario propugnò l’esaltazione della guerra e della violenza come mezzi per la propria affermazione, in Italia e nel mondo. Vent’anni di propaganda si scontrarono però con il fallimento delle campagne belliche e la differenza tra la retorica e la realtà della guerra, fatta di morte, fame, violenza, sopraffazioni e bombe.

Ed è in questo contesto che maturò la decisione spontanea di molti soldati sbandati ed antifascisti di intraprendere la scelta partigiana, dando vita alle prime bande. Per porre fine ad un mondo che esaltava la violenza e la guerra era necessario combattere. Ma la Resistenza non è stata solo questo: la Resistenza è stata fatta dai lavoratori che incrociarono le braccia, e che in molti casi pagarono con la deportazione questa scelta, dagli antifascisti che diffusero opuscoli e giornali clandestini, dalle donne in lotta anche per la propria autodeterminazione.

Un fenomeno che coinvolse persone con diversi metodi ed orientamenti politici, tuttavia uniti da un obiettivo comune: porre fine al nazifascismo e con questo porre fine alla guerra. Non solo per ritornare allo stato liberale prefascista, bensì per costruire un nuovo tipo di società, realmente democratico, fondato sulla giustizia sociale e sulla fratellanza tra i popoli, per evitare il ripetersi di simili tragedie.

Con questa premessa si può comprendere subito il perché dell’affermazione “L’Italia ripudia la guerra” e la considerazione della stessa come “un’offesa alla libertà degli altri popoli”. Queste affermazioni non contengono solo una critica al fascismo, bensì anche al colonialismo, al nazionalismo ed all’imperialismo, che possiedono in sé il germe della violenza e della sopraffazione verso le minoranze o altri popoli.
Viene infine ulteriormente specificato che la guerra non deve essere un “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La guerra non può essere mai la soluzione. Porta con sé, come purtroppo abbiamo potuto vedere, gli orrori delle esecuzioni sommarie, le stragi di civili, principali vittime dei conflitti bellici, e la nascita di un circolo vizioso di odio e violenza, che spesso lascia traccia indelebili nel rapporto tra i popoli, causando la crescita di sentimenti nazionalisti e revanscisti.

Per questi motivi la nostra associazione è da sempre schierata apertamente contro la guerra e gli interventi militari, anche quando si tratta di “guerre umanitarie”, di “esportare la democrazia” o come adesso di “denazificare” un paese o, all’opposto, di inviare armi per fermare un conflitto. Gli unici interventi che dovrebbero essere ammessi sono quelli di interposizione, volti cioè allo scopo di fermare un conflitto in corso, non di alimentarlo.


Abbiamo condannato sin dall’inizio l’invasione russa che ha causato questa terribile escalation, essendo comunque coscienti che in Donbass sono 8 anni che si sta combattendo, in una guerra localizzata ma intensa, che è costata la vita a circa 14.000 persone, nel disinteresse generale. Dal 2014 infatti, con il rovesciamento del governo filorusso di Yanukovich, a seguito delle rivolte di Euromaidan, e la successiva decisione di Putin di annettere la Crimea a seguito di un plebiscito e di indire altri referendum per l’indipendenza del Donbass, causò la nascita di un conflitto nell’est del paese. 

Sin da subito si contraddistinse peraltro un crescente sentimento nazionalista ucraino, egemonizzato da alcuni gruppi estremisti, che si contraddistinsero peraltro per alcuni crimini come quello della casa dei sindacati di Odessa, il 2 maggio del 2014, quando membri del Pravy Sektor uccisero quasi una cinquantina di attivisti filorussi, o presunti tali, rifugiatisi all’interno dell’edificio, che venne dato alle fiamme. Una strage che non solo rimase impunita, rilegata ad incidente, ma che rivelò ben presto le coperture che questi gruppi ebbero nel paese. 

L’esplosione del conflitto nel Donbass, portò così queste formazioni a formare dei battaglioni volontari, che vennero tollerati in quanto considerati un utile strumento per contrastare i separatisti. Il caso di cui si è tanto discusso è quello del battaglione Azov, in quanto nel suo emblema ufficiale contiene la runa del Wolfsangel, usata da numerosi reparti SS, ed il sole nero, altro simbolo legato al neonazismo. In altri casi si vedono ricomparire altri simboli nefasti come quello della divisione SS Galizia, la formazione dei volontari nazisti ucraini attiva durante il secondo conflitto mondiale o la rivalutazione di personaggi come Stepan Bandera, il leader di questi collaborazionisti.

Allo stesso modo abbiamo denunciato come il conflitto nel Donbass fosse diventato un grande campo di addestramento per militanti dell’estrema destra in Europa, non solo dalla parte ucraina ma anche tra i filo-russi, ispirati invece dal progetto neo-imperiale di Putin, visto come un’alternativa all’Occidente, e benedetto anche dal patriarca di Mosca Kyrill, già noto per le sue posizioni reazionarie. A proposito di questi grandi uomini, mi vengono in mente le parole del drammaturgo e poeta tedesco Bertolt Brecht: “Ogni dieci anni un grande uomo. Chi ne pagò le spese?”.

Quella ucraina è una Resistenza legittima e naturale di uno stato contro un tentativo di invasione ma ovviamente è una resistenza totalmente diversa da quella italiana, combattuta invece prevalentemente da formazioni irregolari, in un territorio occupato dai nazisti e con gli Alleati già presenti nella penisola, in un contesto di guerra mondiale e totale, già in pieno corso. Questa differenza non è sottile. Il conflitto nel paese ucraino è sempre più un conflitto indiretto tra Russia e Nato, non solo tra Russia e Ucraina, per questo motivo, pur essendo pienamente solidali con gli aggrediti, a nostro avviso l’obiettivo dovrebbe essere trovare una soluzione politica che consenta la pace nel lungo periodo e non un conflitto prolungato tra queste forze che potrebbe facilmente degenerare in un conflitto globale, o peggio nucleare. 

Oltre a ciò, da un punto di vista prettamente militare è molto difficile che una delle due parti possa ottenere una vittoria totale, quindi la soluzione diplomatica è l’unica strada, e non significa cedere al ricatto di Putin ma ripartire dalla status pre-invasione, dagli accordi di Minsk, svincolando così il processo di pace dall’esito della guerra sul campo di battaglia. Purtroppo, oltre al Papa e a poche altre voci, le parole del dialogo e della pace sinora sembra siano rimaste inascoltate ma non esistono altre strade.

Inoltre, la nostra solidarietà, oltre ad andare al popolo ucraino, che sta pagando un enorme costo in termini di vite umane e distruzione materiale, con una conseguente ondata di profughi, esprimiamo la nostra vicinanza anche ai russi che stanno pagando con il carcere la loro opposizione all’intervento militare. Le critiche al regime di Putin non possono significare una colpevolizzazione generalizzata di tutti i russi, come popolo, escludendo ad esempio atleti o artisti solo per via della nazionalità degli stessi. E’ assurdo e fa proprio il gioco della propaganda dello “zar”, che infatti ha un consenso ancora molto alto, nonostante le sanzioni ed i rallentamenti nell’offensiva. La guerra come sempre riduce gli spazi di discussione ad una dicotomia, o noi o loro, non ci possono essere altre posizioni e di solito rafforza gli uomini al potere, almeno nel breve periodo.

Sempre a proposito degli spazi di discussione, anche nel nostro paese, sin dal primo giorno dell’invasione abbiamo subito, come ANPI, pesantissimi attacchi mediatici, quasi quotidiani, spesso strumentali e pretestuosi, come i colori di una bandiera all’interno del manifesto del 25 aprile. Il primo giorno siamo stati attaccati addirittura sulla base di un comunicato antecedente l’invasione, quando nel frattempo era uscito quello di condanna dell’invasione e questo la dice tutta sulla bontà di questi attacchi.

Successivamente siamo stati definiti da un noto giornalista come l’associazione dei putiniani d’Italia. Il mese scorso si è svolto il nostro congresso nazionale, molto partecipato e pieno di entusiasmo, nonostante il momento tragico che stiamo vivendo, e si è discusso a lungo di questo conflitto. Una delle frasi più ripetute è che gli amici di Putin li dovete andare a cercare da altre parti. Noi lo abbiamo sempre criticato per le sue posizione reazionarie, per il trattamento che ha riservato agli oppositori ed alle minoranze, questo mentre nel frattempo molti dei quali ci stanno attaccando, dipingendo ora Putin come il male assoluto e sostenendo che l’unica soluzione siano le armi, all’epoca ci facevano affari, addirittura vendendo centinaia di blindati ora usati nella guerra in Ucraina. Viene il dubbio che come al solito ci siano anche altri interessi dietro le guerre e l’aumento delle spese militari tende a confermare questo dubbio, oltre ai ricchi giacimenti minerari e di gas presenti nel Donbass, che fanno gola a molti.

L’interesse solo verso alcuni conflitti, magari poi a loro volta dimenticati dopo poco tempo, ci fa riflettere anche sul fatto che esistono guerre, popoli e profughi di serie A e di serie B, le eterne questione curde e palestinesi lo stanno a dimostrare, così come il differente trattamento dei profughi alla frontiera polacca, o quelli dimenticati in Libia. Per noi non esistono differenze, bisogna aiutare tutti senza distinzioni e saremo sempre dalla parte di tutti i popoli e le persone oppresse.

Mi avvio a chiudere riprendendo un’ultima volta la polemica sulla nostra presa di posizione contro l’invio delle armi. In alcuni di questi attacchi si tende a screditare la legittimità della nostra associazione, addirittura auspicando un nostro scioglimento in quanto non più gestita da partigiani ma da “giovani”, come se fosse peraltro una cosa negativa. 

Mi preme ricordare come nel congresso ANPI del 2006 i partigiani si posero proprio questo quesito: considerare l’ANPI come un’associazione meramente reducistica, che sarebbe finita con la morte dell’ultimo partigiano, oppure aprirsi alle nuove generazioni dandosi nuovi obiettivi. Venne scelta questa seconda opzione perché la Resistenza era ancora sotto attacco da chi cercava di sminuire l’importanza ed il contributo dato dai partigiani alla nascita della democrazia nel nostro paese. Non è cambiato molto, siamo rimasti un paese che non ha mai fatto veramente i conti con il proprio passato.

L’altro motivo è che quei principi che sono stati alla base della lotta resistenziale, contenuti nella nostra Costituzione, sono rimasti ancora in parte inattuati e la sfida di costruire una società più giusta per tutti è più che mai attuale, in un mondo dove le disuguaglianze e le ingiustizie crescono anziché diminuire e dove la pace e la fratellanza tra i popoli sembrano sempre più dei miraggi. Questo però non deve scoraggiarci ma al contrario essere uno stimolo ad impegnarci con maggiore forza, imparando proprio dall’esempio dei partigiani, perché un altro mondo è possibile.

Buon 25 aprile a tutti, con un auspicio di pace per il paese ucraino, e “Restiamo umani, anche quando attorno a noi l’umanità pare si perda”, come diceva l’attivista Vittorio Arrigoni.
Ora e Sempre Resistenza"

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