Vi
comunichiamo che ci ha lasciati il compagno Celso Margaro, classe 1915,
antifascista, deportato e marito della partigiana Carmen Nanotti, a cui
vanno le nostre sentite e sincere condoglianze, così come alla famiglia.
I funerali si svolgeranno domani, martedì 31 dicembre 2013, ore 10 in via Forli 65/21, a Torino.
Testimonianza di Celso Margaro, tratta da "Un giorno del '43. La classe operaia sciopera" di Alasia, Carcano e Giovana, Gruppo editoriale Piemonte, 1983:
"[...] La crisi del regime e le sconfitte militari si accompagnavano al
peggioramento costante della condizione d'esistenza di ciascun
lavoratore, e quindi al crearsi di un ambiente in cui le parole d'ordine
di rivolta trovavano eco. In questo quadro venno lo sciopero del marzo
'43.
Quando, al suono della sirena, con un segnale convenuto-
un cenno del capo- ci fermammo, il reparto in cui lavoravo fu invaso da
fiduciari fascisti, rivoltella in pugno, unitamente agli ufficiali
comandati da un maggiore o colonnello degli alpini, che allora erano di
stanza nello stabilimento [la Savigliano di corso Mortara].
Interrogavano sui motivi della fermata, chiedevano i nomi degli
organizzatori, minacciavano rappresaglie se la produzione non fosse
stata immediatamente ripresa. Noi, zitti. D'un tratto, l'ufficiale
superiore degli alpini si scagliò su di me, mi afferrò per il petto,
scuotendomi e intimandomi di tornare al lavoro. Io risposi che avrei
ripreso il mio posto quando lo avessero fatto anche gli altri, visto che
tutti quanti non ce la sentivamo di continuare a vivere in quel modo.
Risultato, schiaffeggiarono un operaio che era accanto a me, un certo
Sivera, e quattro giorni dopo mi fu recapitata una cartolina con cui mi
si ordinava di partire per Verona. La cartolina aveva un contrassegno
rosso. Un maresciallo, in caserma a Verona, mi spiegò che il
contrassegno indicava in me un sovversivo da spedire su due piedi al
fronte. [...] Dopo quindici giorni da che ero sbarcato in Grecia, grazie
a certi miei conoscenti, avevo preso contatto con i comunisti e lo
mantenni finchè l'8 settembre non mi internarono in un campo a 40
chilometri da Salonicco. Qui sgobbavamo dieci-dodici ore al giorno a
costruire la pista di un aeroporto per i tedeschi.
Ebbi un
incidente: ribaltai con un camion, precipitando in un burrone di trenta
metri di profondità, riportando la frattura della colonna vertebrale. Mi
tennero due mesi all'ospedale di Salonicco. Quindi, io e altri, fummo
caricati sulle barelle e portati a un convoglio di carri bestiame delle
ferrovie: ci dissero che, date le nostre condizioni, venivamo
rimpatriati. Invece fui sbattuto in Germania, dove rimasi altri sette
mesi in ospedale. All'uscita, giudicato guarito, mi spedirono a lavorare
in una cartiera: dodici ore al giorno di olio di gomito, con una delle
famose zuppe di rape galleggianti sull'acqua come unico pasto
quotidiano. La scampai lo stesso: il 20 aprile del '45 ero libero."
Al termine della guerra ritornò a lavorare presso la Savigliano di
Torino, dove divenne inoltre membro della Commissione interna della
fabbrica dal 1950 al 1971.
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