lunedì 30 dicembre 2013

Ci ha lasciati il compagno Celso Margaro

Vi comunichiamo che ci ha lasciati il compagno Celso Margaro, classe 1915, antifascista, deportato e marito della partigiana Carmen Nanotti, a cui vanno le nostre sentite e sincere condoglianze, così come alla famiglia.

I funerali si svolgeranno domani, martedì 31 dicembre 2013, ore 10 in via Forli 65/21, a Torino.


Testimonianza di Celso Margaro, tratta da "Un giorno del '43. La classe operaia sciopera" di Alasia, Carcano e Giovana, Gruppo editoriale Piemonte, 1983:

"[...] La crisi del regime e le sconfitte militari si accompagnavano al peggioramento costante della condizione d'esistenza di ciascun lavoratore, e quindi al crearsi di un ambiente in cui le parole d'ordine di rivolta trovavano eco. In questo quadro venno lo sciopero del marzo '43.

Quando, al suono della sirena, con un segnale convenuto- un cenno del capo- ci fermammo, il reparto in cui lavoravo fu invaso da fiduciari fascisti, rivoltella in pugno, unitamente agli ufficiali comandati da un maggiore o colonnello degli alpini, che allora erano di stanza nello stabilimento [la Savigliano di corso Mortara]. Interrogavano sui motivi della fermata, chiedevano i nomi degli organizzatori, minacciavano rappresaglie se la produzione non fosse stata immediatamente ripresa. Noi, zitti. D'un tratto, l'ufficiale superiore degli alpini si scagliò su di me, mi afferrò per il petto, scuotendomi e intimandomi di tornare al lavoro. Io risposi che avrei ripreso il mio posto quando lo avessero fatto anche gli altri, visto che tutti quanti non ce la sentivamo di continuare a vivere in quel modo.

Risultato, schiaffeggiarono un operaio che era accanto a me, un certo Sivera, e quattro giorni dopo mi fu recapitata una cartolina con cui mi si ordinava di partire per Verona. La cartolina aveva un contrassegno rosso. Un maresciallo, in caserma a Verona, mi spiegò che il contrassegno indicava in me un sovversivo da spedire su due piedi al fronte. [...] Dopo quindici giorni da che ero sbarcato in Grecia, grazie a certi miei conoscenti, avevo preso contatto con i comunisti e lo mantenni finchè l'8 settembre non mi internarono in un campo a 40 chilometri da Salonicco. Qui sgobbavamo dieci-dodici ore al giorno a costruire la pista di un aeroporto per i tedeschi.

Ebbi un incidente: ribaltai con un camion, precipitando in un burrone di trenta metri di profondità, riportando la frattura della colonna vertebrale. Mi tennero due mesi all'ospedale di Salonicco. Quindi, io e altri, fummo caricati sulle barelle e portati a un convoglio di carri bestiame delle ferrovie: ci dissero che, date le nostre condizioni, venivamo rimpatriati. Invece fui sbattuto in Germania, dove rimasi altri sette mesi in ospedale. All'uscita, giudicato guarito, mi spedirono a lavorare in una cartiera: dodici ore al giorno di olio di gomito, con una delle famose zuppe di rape galleggianti sull'acqua come unico pasto quotidiano. La scampai lo stesso: il 20 aprile del '45 ero libero.
"

Al termine della guerra ritornò a lavorare presso la Savigliano di Torino, dove divenne inoltre membro della Commissione interna della fabbrica dal 1950 al 1971.

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