domenica 25 aprile 2021

Celebrazione del 76° Anniversario della Liberazione - Intervento ufficiale del presidente ANPI V Torino

25 aprile 2021 - Celebrazione ufficiale del 76° Anniversario della Liberazione - Sede della Circoscrizione 5.


Intervento del Presidente della sezione ANPI V Torino, Marco Rubino:

"Buongiorno a tutte e tutti, questo purtroppo è il secondo anno che celebriamo il 25 aprile in una forma ristretta, senza cortei e feste nei territori. Un primo pensiero non può che andare alle tante persone che hanno perso la vita a causa del Covid ed a chi ne è stato coinvolto a vario titolo. Un sentito ringraziamento va ai medici, agli infermieri, ai volontari ed a quanti si stanno impegnando per fronteggiare questa pandemia. L’emergenza Covid infatti sta mettendo a dura prova la tenuta sociale ed economica del nostro paese ed ha evidenziato come prevedibile le molte vulnerabilità del nostro sistema sanitario, già vittima da tempo di pesanti tagli e ristrutturazioni, e su quanto invece si dovrebbe fare per rafforzarlo.

Inoltre, il caso vaccini ha rivelato come nemmeno l’emergenza globale che stiamo affrontando abbia potuto scalfire il primato del profitto sull’interesse pubblico, una speculazione che impedisce la produzione e diffusione degli stessi su scala globale, ritardando così l’uscita del mondo da questa pandemia, con annesso numero crescente di nuove vittime. 

Di fronte a questa situazione mi sono venute in mente le parole di un medico e scienziato del secolo scorso: “Tanti insistevano che brevettassi il mio vaccino, ma non ho voluto. E’ il mio regalo a tutti i bambini del mondo”. Queste sono state le parole di Albert Sabin che negli anni ’50 scoprì e diffuse il suo vaccino contro la poliomielite, una malattia virale che provoca delle gravi paralisi, prevalentemente nei bambini, arrivando a testarlo anche su se stesso e sulle sue due figlie: Amy e Deborah, chiamate così in ricordo delle sue due giovani nipoti trucidate dalle SS durante le persecuzioni antiebraiche.

Proprio questo episodio influì sulla sua scelta di rinunciare a depositare il brevetto, consentendo così la rapida produzione del vaccino su scala globale, a prezzi molto contenuti, accessibile quindi anche ai paesi più poveri, portando così a debellare quasi completamente questa malattia nel mondo. Questo spirito solidaristico in questa pandemia purtroppo non è sempre emerso, forse solo la piccola repubblica cubana ha cercato di seguire le orme di Sabin, dapprima inviando brigate mediche nel mondo, anche nella nostra città, e succesivamente promettendo di distribuire il suo vaccino Soberana ai paesi più poveri, al momento scarsamente riforniti di dosi. Una scelta che peraltro dovrebbe essere logica, dato che è l’unica che limiterebbe lo sviluppo di nuove varianti nel mondo. Ma nei fatti non lo è, abbiamo assistito infatti ad una corsa tra stati per accaparrarsi le dosi per primi, tramite contratti e trattative riservate, a scapito di quelli più poveri.

Questa emergenza è stata inoltre un’occasione di riflessione su altri campi, dall’intrattenimento alla ristorazione, dalla cultura alla scuola, fortemente impattati. Ci siamo così resi conto, forse per la prima volta, che niente è scontato. Si è creato un precedente prima impensabile nel nostro mondo, avere restrizioni della nostra libertà, dagli spostamenti ai contatti sociali, misure resesi necessarie e fondamentali per il contenimento del virus. Le conseguenze sociali però non sono ancora pienamente visibili ma è sicuro che questo periodo lascerà tracce nella società. Per questo motivo, occorrerà ripartire non pensando ad un mero ritorno alla “normalità”, ma da una profonda riflessione sul mondo nel quale stiamo vivendo. Dalle sempre più crescenti disuguaglianze sociali, che si accentuano nei periodi di crisi, alle tematiche ambientali. In un mondo globalizzato, fragile, il rischio che si manifestino eventi emergenziali, dai virus ai disastri naturali, aumenterà sempre più. Dopo il Covid non si potrà più fare finta di niente ed aumenterà la consapevolezza che la tutela del nostro pianeta riguardi tutti e non potrà più essere ignorata.

Come detto, la tenuta sociale ed economica è sempre più precaria e difficile ed aumentano i malcontenti che, opportunamente cavalcati e strumentalizzati, possono portare ad una crescita delle formazioni di estrema destra che, facendo leva sulla paura, sull’insicurezza e sulla stanchezza, forniscono soluzioni basate su ricette identitarie e xenofobe, spesso diffondendo campagne d’odio nei confronti delle minoranze, contro cui sfogare rabbia e frustrazioni.

Proprio sul concetto di esclusione e marginalità, serve un ulteriore riflessione. Da più di tre anni nei cassetti del Parlamento giace il progetto di legge contro l’omotransfobia noto come DDL Zan. Si tratta di una norma di civiltà che estenderebbe le aggravanti per istigazione a delinquere, previste dall’art. 604 del codice penale (cioè per motivi etnici, razziali o religiosi), anche alle discriminazioni per via dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere di una persona.

Si è tanto dibattuto sul tema, spesso male, ci sono ancora forti resistenze ed ancora troppi casi di aggressioni fisiche e verbali. Chi rientra in queste categorie deve fare i conti infatti con forti pregiudizi, ancora radicati, semplicemente perché si viene ritenuti “diversi”, per la propria condizione o per chi si ama. Una quotidianità fatta di denigrazioni, stigma, emarginazione ed esclusione sociale che nei casi più gravi sfocia nella violenza verbale e fisica, che però sono solo la punta dell’iceberg del fenomeno dell’omotransfobia.

L’intolleranza può essere tale da coinvolgere addirittura le stesse famiglie, con genitori che cacciano di casa i propri figli o figlie, come avvenuto nel recente caso di Malika, una ragazza ripudiata dalla sua stessa famiglia per la sola colpa di essersi innamorata di un’altra ragazza. Viene da chiedersi quale sia realmente il comportamento “contro natura” in una situazione di questo tipo. Per questi motivi è più che mai urgente provvedere finalmente all’approvazione del DDL Zan, oggetto di continui rinvii per l’ostruzionismo della destra parlamentare. Il DDL Zan inoltre dovrebbe essere considerato non come un punto di arrivo bensì di partenza. Il vero lavoro da svolgere infatti è sul piano sociale e culturale, educando al rispetto per le differenze, perché la diversità è un valore ed ognuno di noi è l’Altro visto dagli occhi degli altri, come diceva lo scrittore Andrea Camilleri. Siamo tutti diversi, per questo siamo tutti uguali.

Un altro tema strettamente correlato all’omotransfobia è quello della misoginia. Nel nostro paese vi è una crescente attenzione sul tema dei femminicidi, della violenza sulle donne e della parità di genere ma c’è ancora tanto da fare, e se da una parte si stanno facendo dei lenti passi in avanti, la misoginia è ancora radicata nella società, come la colpevolizzazione delle vittime di violenza o di episodi di revenge porn, come il caso del licenziamento della maestra torinese, additata ed isolata dal moralismo ipocrita di questa società. Come se non bastasse, sono presenti ancora spinte oscurantiste su temi quali il diritto all’aborto, una scelta difficile che le singole donne devono poter intraprendere senza ingerenze esterne o criminalizzazioni. Siamo ancora a discuterne dopo oltre 40 anni dall’approvazione della legge 194 del 1978.

Come detto, i temi dell’omotransfobia e della misoginia sono correlati. Non è un caso che molte forze politiche conservatrici o reazionarie tendano a colpire i diritti delle donne e delle persone LGBT, parallelamente. Lo si è visto in Polonia, coinvolta recentemente proprio dalle proteste delle donne contro la proposta di legge che limiterebbe ulteriormente il diritto all’aborto, così come nell’Ungheria di Orban, con leggi anti LGBT ed il ritiro del paese dalla Convenzione di Instanbul, un trattato del Consiglio d’Europa firmato nel 2011 nato per combattere la violenza sulle donne. E’ notizia di qualche settimana fa che anche la stessa Turchia di Erdogan si è ritirata dal trattato. Lo stesso Erdogan che si è distinto nella repressione dei curdi, in particolare dell’esperimento del Rojava, con il suo forte protagonismo femminile, affermatosi durante la Resistenza contro gli integralisti dell’ISIS.  Sempre in Turchia abbiamo assistito alla protesta estrema condotta dalla cantante Helin Bolek, di altri due membri della popolare band turca Grup Yorum, e della loro avvocata, Ebru Timtik, tutti morti dopo un lungo digiuno di oltre 200 giorni, per protestare contro la loro ingiusta incriminazione.

Un ulteriore caso negativo, forse il più emblematico, è quello del Brasile di Bolsonaro, fortemente intriso di retorica misogina e machista, emersa in diversi momenti come con l’omicidio di Marielle Franco, una giovane attivista, ammazzata in quanto donna, nera, lesbica e per il suo impegno sociale nelle favelas di Rio de Janeiro dove viveva. Il presidente brasiliano, come purtroppo sappiamo, si è distinto inoltre per la gestione catastrofica della pandemia, negando e sottovalutando completamente l’emergenza Covid, ormai fuori controllo nel paese, e che ha colpito principalmente proprio le fasce più povere della popolazione, ingrossatesi ulteriormente per via delle sue ricette economiche.

In sostanza lo scenario globale vede purtroppo l’affermazione di forze retrograde, che iniziano colpendo le minoranze ed i diritti delle donne, per poi finire a colpire le libertà di tutti, inquinando le società con retoriche di intolleranza ed oscurantismo, per poi favorire la diffusione di profonde ingiustizie economiche e sociali, sotto la guida di leader autocrati che restringono sempre più gli spazi di democrazia nei loro paesi. Non possiamo assistere indifferenti a questi processi, è nostro compito vigilare affinchè non si realizzi uno scenario di questo tipo anche nel nostro paese.

Prima di passare alle conclusioni, un ulteriore pensiero va alle oltre 100 persone morte nei giorni scorsi nell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo, nella pressochè totale indifferenza generale, ed allo studente Patrick Zaki che si trova in carcerazione preventiva in Egitto e di cui tutti auspichiamo la sua liberazione. Così come è doveroso un ricordo della cantante Milva, è anche grazie a lei che il canto simbolo della Resistenza, Bella Ciao, ha ottenuto una grande popolarità nel nostro paese.

Concludendo, oggi celebriamo il 76° Anniversario della Liberazione in una situazione molto difficile per tutti noi, segnata da una pandemia globale le cui conseguenze ed eredità non sono ancora del tutto evidenti. Rinnoviamo però il nostro ringraziamento a quanti hanno combattuto e pagato con la loro vita per portare la democrazia nel nostro paese. La Resistenza, è bene sempre ricordarlo, è stata un fenomeno molto eterogeneo, dal punto di vista politico ma anche nelle sue modalità, dalla Resistenza delle formazioni di montagna a quella degli operai nelle fabbriche, dagli internati militari che rifiutarono di aderire alla RSI a quella delle donne, in lotta anche per la loro autodeterminazione. 

La Liberazione però non è una conquista definitiva, ogni generazione è tenuta a vigilare e ad impegnarsi per rendere sempre vivi quei principi, oggi contenuti nella nostra Costituzione, che sono stati alla base della scelta resistenziale. Ognuno di noi è quindi chiamato a dare il suo contributo nelle Resistenze di oggi per ricostruire questa società, avvelenata da egoismi, ingiustizie, intolleranza e odio, rinnovandola su nuove basi di giustizia sociale, libertà e solidarietà, come avvenuto più di 70 anni fa, ripartendo tutti assieme, nessuno escluso.

Buon 25 aprile e restiamo umani. 

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